sabato 31 dicembre 2011

Con un poco di zucchero

Inizio: 30 dicembre 2011
Fine: 2 gennaio 2011

(°_°)
Tu pensi di trovarti davanti a due simpatiche vecchiette, leggi la trama e pensi a due simpatiche streghette rimaste senza pozione magica… E invece sbatti contro due supernonne che si drogano!
Ok ammetto che sono rimasta basita (°_°) altro che polvere magica per fare incantesimi.. qui non siamo ai livelli della piccola Pollon che cantava “sembra talco ma non è…” no no qui siamo davanti a due vecchiette che devono andare a caccia della loro dose quotidiana visto che il loro fornitore ufficiale (che Dio l’abbia in gloria) è passato a miglior vita…
Scusate, ma lo sbigottimento è d'obbligo...
Comunque. Giulia e CAmilla sono due signore distinte, di antichi e nobili natali, non sono parenti ma oramai dopo una vita assieme è come se fossero sorelle. Da parecchi anni vivono chiuse nella loro casa di Firenze, senza aver alcun alcun contatto con il mondo esterno tranne che con pochi individui per i più necessari bisogni alimentari... Le due signore però si trovano ad affrontare un grosso problema (che ne scatenerà di peggiori): il signor Piero (che Dio l’abbia in gloria) è passato a miglior vita così, da un giorno all'altro e le due simpatiche signore sono rimaste senza zucchero magico.. Inizialmente si pensa di tutto: il lettore passa dalla fase realistica "hanno bisogno lo zucchero davvero" alla fase fantasy "lo zucchero in realtà è qualcosa di magico" per cadere pesantemente sulla realtà "lo zucchero è droga", e mica una qualunque.. non no le signore si fanno di eroina!! Si capisce quando le due donzelle cominciano la loro avventura fiorentina uscendo finalmente dalla porta di casa e cominciando a cercare uno spacciatore.. Quando spunta lo spacciatore, spuntano le siringhe e l'incertezza scompare. Sono due drogate. (A tal punto che si servono della sostanza per poter rivedere i Lorocari in alcuni pesci tenuti in un acquario in casa... E ho detto tutto...).
Peccato che la ricerca dello spacciatore porti con se un effetto domino di colpi di scena, a prtire da un tentato omicidio, per posi passare a pluriomicidio premeditato... il tutto condito dalla loro vita sempre uguale e piena di vecchi ricordi. I due personaggi principali, Giulia e Camilla, sono infatti molto particolari e sembrano portare sulla loro pelle anni ed anni di vita vissuta (anche insieme), amano dire citazioni a vanvera e sono terribilmente fredde. L'unica cosa che sembra spaventarle è l'arrivo di una fantomatica Lei, che molto probabilmente è al Morte. Ma a parte questo sono due pazze scatenate e non credo che il lettore possa trovarle simpatiche... quello che poi combinano nel libro è assolutamente inimmaginabile considerando due vecchiette drogate, ma quantomeno per bene. Ma loro non danno quest'impressione; se è pur vero che le persone che incontrano sulla loro strada sono approfittatori e delinquenti, ciò non trova in alcun modo una giustificazione all'atteggiamento ed al comportamento delle due vecchiette.
Scusate se dico e non dico, ma se dico vi rovino il libro; melius abundare quam deficere, ma non è questo il caso.  
Per farla breve comunque la questione non sono nè l'etica nè la morale delle due donzelle ma il libro in sè: non ha nè capo nè coda, non ha senso. Non è un romanzo, non è una favola nera, non è nulla... non so, non capisco. La vita delle due vecchiette resta sconosciuta (a parte la tendenza all'eroina e qualche cenno a mariti e figli), non si capisce in quante epoche abbiano vissuto o se siano soltanto suonate; non si capisce chi cavolo sia Lucrezia e perchè la vanno a trovare, non si capisce perchè siano tanto cattive e risolute; non si capisce cosa ha voluto dirci Carabba con questo libro.
Tutta la storia è fine a se stessa e non ha senso.
Io non lo consiglio come acquisto, ma come lettura, se lo trovate in biblioteca, magari leggetelo. così poi mi direte cosa ne pensate...


Il Mercante di Tulipani

Inizio: 9 dicembre 2011
Fine: 30 dicembre 2011

Siamo sinceri fino in fondo: inizialmente ero perplessa, poi la fine mi ha fatto cambiare idea. Io non lo so se, onestamente, lo consiglierei come lettura..
Andiamo con ordine. 1600-1650 circa. Olanda. Province Unite. Il libro narra la storia di un povero vedovo con 4 figli, di natali nobili, ma dal presente difficile. Tuttavia la loro antica ricchezza si intravede ancora in un’imponente casa, oramai decadente, di cui sono i proprietari. Cornelis Van Deruick è proprietario di una piccola botteguccia che basta a coprire le necessità della famiglia; tuttavia egli spasima per il commercio e rivendica la sua natura di mercante imbarcandosi per il Brasile per diventare appunto un mercante di spezie. Prima di lasciare l’Olanda però raccomanda il figlio maggiore (al quale affida la casa ed in fratelli in sua assenza) a Paulus Van Bereysten, suo vecchio amico ed, in qualche modo, in debito con lui. L’insigne personaggio è infatti un ricco mercante, attualmente rettore dell’università; chi meglio di lui può aiutare il giovane Van Deruick nei suoi primi passi come amministratore della casa e della famiglia? Quello che Cornelis non immagina è come Paulus modellerà e plasmerà a suo piacimento la figura di Wilhelm. Paulus, mercante di tulipani, inizia a questa pratica molto redditizia il suo giovane pupillo, accaparrandosi la sua fiducia con il dono di ben due bulbi (valore totale 2600 fiorini) che Wilhelm, sotto l’occhio benevolo di Paulus, riesce a piazzare al miglior prezzo nelle aste clandestine nelle taverne. Una tale ricchezza improvvisa fa breccia nel cuore “nobile” del primogenito che spera di innalzare la sua famiglia alle vecchie glorie e farsi bello agli occhi dei fratelli. Per suggellare ancora di più i rapporti, Wilhelm vende la bottega di famiglia, per investirla in tulipani, e va a lavorare insieme a suo fratello Jasper presso le serre di Paulus. I rapporti di Paulus e Wilhelm così si stringono ogni giorno di più (e non solo quelli d’affari) facendo emergere alcuni lati del rettore altamente disgustosi. Questo feeling però si infrange costantemente contro la durezza di Eliasar, figlio di Paulus, che non sopporta il legame tra i due e non comprende nemmeno perché il padre gli preferisca un poveretto come Wilhelm. Per placare gli animi si propone ( o meglio si comanda) che Petra, sorella maggiore di Wilhelm, si sposi con l’erede di Paulus, in modo da suggellare anche sulla carta un legame ormai evidente..
In tutto questo, il povero Cornelis in Brasile ha avuto una sfortuna nera e non riesce nemmeno a racimolare la comma che gli consentirebbe di imbarcarsi di nuovo per le Province Unite. Riceve lettere confortanti da Wilhelm che, oltre ad amministrare egregiamente la famiglia, sembra avere tra le mani l’affare del secolo. Cornelis, che riesce a guadagnarsi da vivere facendo il sarto, ha vergogna della sua condizione e continua a dire ai figli di star facendo grandi cose.
Nel frattempo anche Wilhelm racconta un sacco di frottole, nemmeno lui riesce a dire al padre di aver cacciato tutta la famiglia in un bel guaio, indebitandosi con Paulus della cifra di 10000 fiorini, corrispondenti alla dote della sorella. Ancora una volta, i tulipani, croce e delizia di questo racconto, sembrano intervenire a ristabilire l’ordine: se Wilhelm si procurerà l’ambitissimo Semper Augustus, allora il debito verrà cancellato e le nozze di Petra con Eliasar verranno celebrate… Nessuno però ha fatto i conti con Petra la quale, innamorata del cocchiere del Van Bereysten, non ha nessuna intenzione di sposare Eliasar….
Non voglio assolutamente rovinare l’ultima parte di questo libro che è senza dubbio la più importante e tragica allo stesso modo. Raggiungendo picchi di drammaticità sublimi. Forza e coraggio però perché la piccola amara si manda giù con il miele e vedrete che ne rimarrete entusiasti.
Ora, giunti a questo punto, vi ripeto, la fine è decisamente entusiasmante, si.. ma il libro.. non so, proprio fino in fondo, onestamente, non mi ha convinto. Ammetto che Bleys descrive davvero molto bene luoghi e personaggi e ha una scrittura fluida e piacevole… ma non sono convinta al cento per cento. Alcune parti del libro mi hanno un po’ infastidito.. perché parliamoci chiaro, questo racconto emana cattiveria da tutti i pori. Forse è quello, la cattiveria sottile che serpeggia sempre.. Leggetelo, poi mi direte cosa ne pensate!

venerdì 9 dicembre 2011

Nel cortile della Moschea - Racconti dell'altro Islam

Inizio: 3 novembre 2011
Fine:

Comincio questa recensione prima ancora di avere finito il libro. Mi permetto di farlo perchè non è un'unica storia ma una moltitudine di racconti dell'Islam. Se dovessi cercare qualcosa di simile nella religione cristiana direi che somigliano alle nostre parabole, ma non sarei molto esauriente. Spesso questi racconti sono di poche righe, ma esprimono concetti di altissimo livello. Il dono della sintesi insomma. In realtà le parole "cercare delle somiglianze" è una cosa che si commenta da sè: se leggete questi piccoli e preziosi racconti non può non rendersi conto che alla fine i principi etici e morali sono gli stessi. Il mondo ha sempre conosciuto gli eccessi, anche del cristianesimo, quando invece dell'amore di Dio si professava l'Inquisizione oppure si combattevano guerre e si spargeva sangue per l'oro. Sicuramente ogni religione ha il suo eccesso, la sua parte estremista ed intollerante. Ma non è data dagli insegnamenti religiosi, solo dal fanatismo degli uomini. Molti dei racconti raccolti in questo libricino infatti sono simili a quelli dei cristiani, a quelli della Bibbia, agli insegnamenti di Gesù. Si predicano le virtù, la carità, il privarsi per dare al prossimo, la solidarietà nei confronti dei poveri, il disgusto per i trattamenti ingiusti. C'è invece l'intolleranza verso chi offende Dio e le sue creature, verso chi cade nei peccati di superbia, avarizia, di presunzione. Vengono ridicolizzati tutti quei personaggi che predicano bene e razzolano male insomma (anche figure religiose che si fregiano di essere i più pii ed invece sono i primi peccatori). Cosa dunque c'è di diverso? Nulla. Questo libro è ricco di spunti riflessivi umani, di insegnamenti che dovrebbero rendere l'uomo molto più umano di quanto sia in realtà. Sicuramente ve lo consiglio, anche come regalo di Natale, perchè no? Alla fine l'importante è amarsi l'un l'altro. Dio non fa differnze tra le sue creature, perchè dovremmo farne noi?

Nessuno - L'odissea raccontata ai lettori d'oggi

Inizio: 7 dicembre 2011
Fine: 9 dicembre 2011



Era dai tempi del liceo che non leggevo l’Odissea. È sempre stato il mio poema epico preferito, ma a furia di tradurlo dal greco mi ero stancata. Odisseo, l’uomo dall’ingegno multiforme, l’uomo capace di vagare 20 anni per, come direbbe Foscolo, baciare la sua petrosa Itaca. Mi ha sempre colpito la sua tenacia, la sua capacità di non arrendersi e di superare gli ostacoli che Poseidone e Zeus disseminavano sul suo cammino; certo grande merito va alla dea Atena che l’ha sempre protetto e guidato, ma non si può negare che il prode Odisseo ci abbia messo del suo. Mentre i più spasimano per il bell’e forte Achille, tutto muscoli coraggio e sprezzo del pericolo, a me ha sempre interessato Odisseo, tutto cervello, sangue freddo e calma. Tuttavia questo libro di De Crescenzo, davvero ben scritto, mi ha un po’ fatto ricredere sulla figura che per anni ha campeggiato nella mia mente di liceale. Non si può certo dire che Odisseo fosse uno stinco di santo, razzie e cattiverie ne ha fatte tante, ma che fosse un pusillanime, bè, questo invece non lo avevo mai pensato. Più che la storia, l’Odissea vera e propria, infatti, mi ha colpito l’ultimo capitoletto dove l’autore racconta un lato dell’eroe itacese che ignoravo: l’uomo che descrive, oltre ad essere un codardo pauroso, è anche un arrivista senza limiti, come lo chiameremmo noi oggi. Riguardando a distanza di anni questo poema e ripensando oggi alla figura di Odisseo non è che mi piaccia poi molto questo suo fare, pur non potendo negarne l’assoluta intelligenza e l’assoluto senso pratico. Sarà che l’Odissea è sempre stata il simbolo del povero tapino (mi perdoni il divino Odisseo) che osteggiato da tutto e tutti cerca di ritornare alla sua casa ed alla sua amata famiglia, alla tenera sposa Penelope infastidita da invadenti pretendenti, e al figlioletto Telemaco, che ha lasciato ancora in fasce. È un po’il romanticismo di questi sentimenti a farti parteggiare per il povero Odisseo, a condividere le sue sofferenze e a sperare con lui di tornare alla petrosa Itaca. Tuttavia, come dicevo, questo libro mi ha aiutato anche a mettere a fuoco l’Odisseo uomo, più che l’eroe. E se volessimo togliere anche gli interventi divini della divina Atena (non me ne voglia nemmeno lei), dell’Odisseo dal multiforme ingegno non so quanto resti. Omero ce lo descrive, già fin dall’inizio, in lacrime, prigioniero della bella Calipso sull’isola di Ogigia; l’esperide figlia di Atlante lo tiene con sé da 7 anni e non lo lascia partire.. e lui piange pensando al figlioletto ed alla perenne tenera (Penelope è sempre tenera) sposa. Chiunque si sarebbe impietosito davanti al prode in lacrime che sogna solo il rientro a casa. Ma forse strada facendo ci si rende conto che Odisseo non è così valoroso come ce lo descrive Omero. De Crescenzo fa numerose riflessioni sulla figura dell’eroe nella varie parti cruciali e significative del suo viaggio, come ad esempio l’episodio di Polifemo. Senza togliervi il giusto di leggere questo libro, vi dico solo che è adatto a ridimensionare chi some me ha sempre avuto una incondizionata stima ed una cieca predilezione per Odisseo. Spogliandolo un po’ dell’aura sacra che lo riveste e un po’ anche della divina Atena che lo protegge, Odisseo ci apparirà come realmente è .. e non so se vi piacerà così tanto l’uomo che vedrete! Anche se senza volerlo ha distrutto un mio idolo di sempre, ringrazio De Crescenzo che mi ha aperto gli occhi… c’è sempre da imparare!


Citazione pag 219:

Il divino Zeus, stanco delle continue lamentele di Atena le dice: "Sei tu quella che fa e disfa i destini degli eroi. Se ritieni utile che  a Itaca scenda la pace tra Ulisse e i parenti dei Proci, provvedi tu a convincere questi ultimi, ma non chiedere a me di intervenire. Io, al massimo, posso non interferire".

mercoledì 7 dicembre 2011

Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo, La maledizione del Titano

Inizio: 5 dicembre 2011
Fine: 6 dicembre 2011


Devo essere onesta, questo terzo capitolo mi è piaciuto di più rispetto agli altri due della saga. Sarà che mi è sembrato un po’ meno prevedibile (soprattutto a livello di miti) e un po’ più ricco di depistaggi.. Insomma un po’ più avvincente. E bravo Riordan, un punto in più. Ritroviamo Percy, Annabeth e Grover e conosciamo Thalia, che avevamo intravisto nell’ultima pagina del secondo libro. La figlia di Zeus è stata liberata dalla maledizione che la teneva imprigionata nel pino sulla collina del campo Mezzosangue. Il vello ha permesso al pino di guarire e a lei di ritornare in carne ed ossa. Oramai però, il declino del mondo è cominciato; Luke ha risvegliato Crono e sta cecando in ogni modo di riportarlo in vita per annientare una volta per tutte gli Dei dell’Olimpo. Nel tentativo di recuperare di nuove reclute per il Campo i quattro amici si imbattono in Bianca e Nico Di Angelo, due bambini dotati dei loro stessi poteri, che fino a quel giorno hanno però ignorato la loro discendenza divina. Non solo il Campo è interessato alle nuove reclute, ma anche l’esercito di Luke, ai comandi di uno strano Generale, di cui nessuno sembra avere capito l’identità misteriosa… è subito scontro con i mostri capitanati da Mr Thorn (una manticora) e i piccoli semidei. In loro soccorso accorrono le Cacciatrici, capitanate dalla Divina Artemide; qualcosa però va storto ed Annabeth scompare con la Manticora in un precipizio. Artemide affida le sue ragazze al Campo e parte decisa a cercare un mostro, Il mostro, che sembra rappresentare il pericolo mortale per l’Olimpo, il Flagello. Il clima è pesante e la divina Artemide sembra non tornare, la sua presenza è necessaria al consiglio del Solstizio d’inverno; Annabeth è scomparsa ma forse ancora viva, bisogna muoversi e una nuova profezia getta sconcerto nel Campo. Thalia Grover Bianca di Angelo e altre due cacciatrici sono i prescelti per la missione, ma Percy non è certamente il tipo da stare in disparte: tutti pensano al Flagello, ad Artemide, ma lui pensa solo alla sua amica Annabeth. Questo gli varrà un incontro inaspettato con la Dea mozzafiato in assoluto, Artemide.. e di conseguenza anche con vecchi nemici giurati come Ares. Credo non sia opportuno raccontarvi per filo e per segno cosa accade nel libro, se no non troverete gusto nel leggerlo. Qualcosa però ve la posso dire. Innanzitutto, davvero credetemi, non è scontato come gli altri, è più avvincente e quindi coinvolgente. Come sempre Riordan aspetta l’ultimo momento per permetterci di avere tutti i pezzettini del puzzle, ma in questo caso sembra trovare gusto nello sviarci, nel farci credere fino all’ultimo che le cose andranno in un modo e poi invece si sovverte l’ordine. Anche la fine è abbastanza emblematica.. meno degli altri due libri, ma abbastanza curiosa da invogliare a comprarsi il 4° libro della saga.




lunedì 5 dicembre 2011

Avenida del Sol - A piedi scalzi in Sudamerica

Inizio: 4 dicembre 2011
Fine: 5 dicembre 2011

Leggete questo piccolo tesoro. Vi prego leggetelo. Non immaginavo che questo piccolo libro, che si divora in poche ore, fosse così denso di emozioni. Mi ha commosso più di una volta portandomi alle lacrime. Questo libro è scritto da un personaggio anche abbastanza famoso, di cui non solo ignoravo la vita e l’esperienza ma anche il nome e l’esistenza. A piedi scalzi in Sudamerica, quando l’ho comprato, mi ha fatto pensare a qualche viaggiatore di fortuna, fai da te, che percorresse in lungo in largo l’America Latina; invece adesso mi rendo conto che l’immagine che mi suscita è quello di un bambino brasiliano delle favelas che a piedi nudi rincorre un pallone, che spera un giorno che quel pallone lo salvi dalla miseria facendo di lui un calciatore affermato. Ma non per la fama, no, non per quello, per la gioia di avere una vita migliore e di poterne godere insieme alle persone che ama. Di condividere la ricchezza con chi come lui ha sofferto fame e povertà. Se vi dicessi che il filo conduttore di questo libro è il calcio, ne rimarreste disgustati, considerando che oggi i calciatori sono stra ricchi, stra arroganti e assolutamente inutili da un punto di vista sociale. Ma il calcio raccontato da Darwin è il calcio degli anni d’oro: calciatori puliti, sorridenti, uomini daltri tempi. Il calcio è solo un pretesto per affrontare storie di vita vera, dio sofferenza e fame, di torture ed ingiustizie sofferte trasversalmente da tutti i Paesi dell’America Latina. Sono storie di cicatrici e ferite causate dalle dittature, dalle lotte contro i fantasmi, dal fanatismo e dalla cattiveria gratuita. Il calcio è si il filo conduttore, ma è un altro calcio, un’altra storia. Ho apprezzato davvero tanto questo libro, davvero tanto la franchezza e lo stile secco, ma mai truce di Darwin, che racconta le cose così come realmente sono andate, senza esagerazione, un’esagerazione non necessaria perché la realtà si commenta da sola. Attraverso Brasile, Colombia, Argentina,  Bolivia  e Cile Darwin raccoglie le storie di tante persone, rappresentative della storia e delle sofferenze di questo straordinario continente. Vi prego leggetelo.