Inizio: 05 marzo 2013
Fine: 05 marzo 2013
Ok, lo ammetto è stato uno shock. Io,
abituata alla leggerezza pacata di Banana Yoshimoto, mi sono trovata sottosopra
con Murakami. Haruki mi ha letteralmente preso a schiaffi. E io come una
cretina sono stata lì a farmeli dare. La leggerezza della brezza marina contro
l’impetuosità del vento di tramontana. Mi devo riprendere. Non che il Giappone
debba essere necessariamente come Banana lo racconta, ma qualcosina della nippo-cultura
l’ho studiata e non trovo verosimili i dialoghi tra perfetti sconosciuti del
primo racconto, sfrontati ed arroganti. E la volgarità? Che cavolo di
giapponesi sono questi??? Ma senza fermarmi all’apparenza cerco di capire, un
po’ più in profondità, chi sono questi personaggi con i quali ho a che fare. È chiaro
che Murakami non scrive un romanzo, ma narra racconti. Quindi ci dovrà essere
un filo rosso che li lega. In particolare questo libro, composto da sei
racconti, ha come filo conduttore il terremoto di Kobe del 1955. Tutti i
personaggi sono legati in qualche modo a tale tragedia. Nel primo racconto incontriamo
Komura, un uomo abbandonato dalla moglie che lo ha lasciato cinque giorni dopo
il terremoto. Loro vivono lontano dall'epicentro e non hanno amici o parenti in
quella zona; eppure la moglie resta per cinque giorni immobile ed attonita davanti
al teleschermo, prendendo poi la decisione di andarsene e divorziare. Non è
difficile per il lettore immaginare che abbia avuto amante a Kobe e che lo
stesso sia morto nel terremoto. Nel secondo racconto, un uomo di mezz’età, Miyake,
rivela di avere una famiglia a Kobe anche se da anni vive in una piccola
cittadina sul mare. Anche qui il lettore può solo immaginare cosa sia accaduto
alla moglie ed ai figli di Miyake e si rende comprensiva la decisione
(apparente) di suicidarsi. Nel terso, Yoshiya, venticinque anni, rimane solo a casa
per qualche giorno poiché sua madre è in missione umanitaria a Kobe con il suo
gruppo spirituale (sembra quasi cristianesimo ma non saprei…) per prestare
aiuto. In uno di questi giorni il ragazzo incontra per caso per strada un uomo
che, per via di un difetto ben visibile, potrebbe essere suo padre e si mette a
seguirlo. Alla fine del viaggio Yoshiya troverà solo se stesso. Nel quarto
racconto incontriamo Satsuki, una bella donna, una dottoressa affermata in
viaggio a Bangkok per un convegno medico. Anche lei è legata a Kobe, il suo ex
marito vive lì. O forse viveva, perché lei spera con tutto il cuore che sia
rimasto schiacciato sotto le macerie. E poi, nel quinto, arriva un Ranocchio
gigante che vuole salvare Tokyo da un imminente terremoto, perché il Gran
Lombrico è stato svegliato da quello di Kobe. Per farlo chiede aiuto a
Katagiri, che lavora per la sezione recupero crediti di una banca,
presentandosi a casa sua e chiedendo il suo aiuto. Ancora desso mi chiedo chi
fosse Katagiri… se il simpatico coprotagonista di una (disgustosa) storiella
per bambini oppure un tossicodipendente in fase di astinenza (e non vi spiego
il perché). Per ultimi incontriamo Sayoko, Kan e Junpei. Sayoko e Kan sono
stati sposati ed hanno avuto la piccola Sara, ma il loro matrimonio è finito
nonostante i loro rapporti continuino. Junpei è un secondo padre per Sara, alla
quale ama raccontare storie inventate sul momento. È laureato in Letteratura e
da quando i suoi genitori lo hanno scoperto, non si parlano. Nemmeno il
terremoto di Kobe (dove vivono i genitori di Junpei) li muoverà da questo
silenzio astioso in cui si sono rinchiusi. Ma in questo ultimo racconto il
terremoto è davvero solo una macchiolina sullo sfondo. La storia è tutt'altra.
Lo
confesso, me lo sono divorato in meno di 4 ore, non che sia un mattone ma proprio
proprio non ho resistito. Non mi sono ancora fatta un’idea sul significato di
questo libro, ma qualche riflessione ha già preso piede. Effettivamente,
terremoto a parte, un filo rosso questi racconti ce l’hanno: è il bisogno di
sentirsi amati, la costane ricerca della propria gratificazione sentimentale nell'altro che può essere una moglie, un nuovo compagno, un padre, una madre,
etc… Questo bisogno impellente nasce quasi sempre dall'abbandono o dall'insoddisfazione
dalla prova evidente che chi ci è accanto non ci apprezza o non ci ama come
vorremmo. Murakami si spinge oltre e descrive le conseguenze di queste ricerche,
che possono fruttare o meno. C’è chi non ha paura di trovare la gratificazione
in una persona diversa, dopo essere stati abbandonati, chi invece non riesce ad
affrontare una nuova situazione e chi alla fine decide che forse non gli
importa più di tanto. C’è chi combatte l’abbandono con l’odio e chi combatte l’ingratitudine
con la bontà. Ognuno sembra trovare la propria dimensione in questo libro, a parte
il lettore, che non sa più da che parte è girato. Un po’ come me che ho
cominciato questo libricino sbraitando contro un autore che mi prendeva
letteralmente a schiaffi e adesso lo chiudo con il sorriso stampato in faccia. Che
dire, non è Banana, è diverso. Non è così denso, è più velato, ma altrettanto
profondo. È meno giapponese, ma più diretto. È più discorsivo, meno
introspettivo, ma lascia al lettore la possibilità di immaginarsi un perché, un
come andrà a finire. Ho già capito che ne comprerò altri!!
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