martedì 10 settembre 2013

Il fantasma di Canterville

Inizio: 5 settembre 2013
Fine: 10 settembre 2013

Mah … che dire. Anche se sono molto tentata non voglio definire insulso questo libricino, per rispetto nei confronti di un autore da molti riconosciuto come geniale. Tuttavia io non ho mai amato Oscar Wilde, tantomeno i suoi scritti. Ho letto poco, The importance of being Ernest e The Picture of Dorian Gray… e con tutto il rispetto, quel poco mi ha fatto desistere dal leggere altro. Wilde non mi piace. E non mi piacciono gli esteti. L’unico aspetto di lui che mi ha sempre colpito e suscitato rispetto è stata la sua capacità di mostrarsi agli altri per quello che era, andando incontro al carcere pur di non rinnegare la sua omosessualità. Il che, per uno come lui, non era cosa da poco: povertà, sofferenza, miseria e scherno, cose alle quali non era abituato. Considerato poi il contesto in cui viveva, chapeau due volte, lodiamone il coraggio. Detto ciò, visto che da liceale non avevo lo avevo amato, con 13 anni in più sulle spalle ho deciso di riprovarci. Non ho scelto proprio un’opera particolarmente significativa, ma è pur sempre qualcosa di suo. Giusto perché una seconda opportunità non si nega a nessuno. Avendo letto un’opera teatrale ed un romanzo… adesso mi accingo a leggerne una di prosa. Questo libro contiene tre storie del mistero/dell’orrore delle quali sintetizzerò la trama per chi non le conoscesse. Oddio definirle del mistero e dell’orrore mi sembra esagerato, considerato che è lo stesso secolo di Edgar Allan Poe (1809-1849) il quale scrive prima di Wilde e decisamente meglio, ma la critica alla fine le definisce così.

Il fantasma di Canterville – una famiglia di americani compra il castello di Canterville, famoso per il fantasma che da tre secoli fa fuggire ed impazzire chiunque ci viva. Ma il ministro Otis e la sua famiglia sembrano averla presa con estrema filosofia ed il povero Sir Simon Canterville, oltre che infuriato è tremendamente avvilito. Questi americani non si spaventano. Anzi, si fanno beffe di lui. In particolare i gemelli che continuamente gli giocano brutti scherzi. Solo Virginia, la figlia quindicenne, ha pena per lui e decide di aiutarlo…

Il principe felice – è la storia molto triste di un principe felice (ma infelice nella realtà) e di una rondinella pronta a sacrificare la sua vita in nome dell’amore. Il principe è una statua d’oro con il cuore di piombo, due zaffiri al osto degli occhi e un rubino ad ornare l’elsa della sua spada; la rondine, in ritardo rispetto alle compagne, si affretta a tornare in Egitto, per passare l’inverno, poiché ormai in città comincia a far freddo. Ma il loro incontro fortuito li renderà inseparabili fino alla morte.

Il pescatore e la sua anima – un pescatore cattura nella sua rete una sirena bellissima, la lascia libera purché lei canti per lui ogni volta che lui la chiamerà. Passano i giorni ed il pescatore si innamora di lei a tal punto da voler rinunciare a tutto per raggiungerla sul fondo dell’oceano. Il prezzo da pagare però è decisamente alto: deve rinunciare alla sua anima. E così, trovato il modo se ne libera, nonostante la sua Anima non vorrebbe. Non vorrebbe andarsene senza il cuore, perlomeno, ma il pescatore non glielo da poiché serve a lui per amare la sua sirena. Ogni anno la poverina torna sulla rupe dove si sono separati e lo chiama. Gli offre Saggezza e Ricchezza, che il pescatore rifiuta. Solo il terzo anno, con la promessa di incontrare una danzatrice, lo convince a ricongiungersi con lui. Ma lungo la strada l’Anima senza cuore lo costringe ad azioni malvagie…


Ok, forse non ho scelto l’opera migliore per dare una seconda chance ad Oscar. Ne prendo atto e cercherò qualcos’altro. Tuttavia non riesco proprio a farmi piacere il suo modo di scrivere e tantomeno quello che scrive. Cerco anche di pensare che dovrei calarmi nel contesto storico… ma proprio non ci riesco. Non che questi piccoli racconti siano insulsi, è evidente che Wilde mette tra le righe interessanti riflessioni e comunica la propria idea di Amore e morte. Ma a me questo non basta. Non riesco a vedere molto di più di tre semplici racconti. La prossima volta mi accosterò al De Profundis (una lettera), magari riuscirò a ricavarne qualcosa di più. 

Cose da salvare in caso di incendio

Inizio: 9 settembre 2013
Fine: 10 settembre 2013

Questa  la storia di due bambini di dieci anni, Vaclav e Lena, e di una grande passione: la magia. Figli entrambi di emigrati russi vivono a un isolato di distanza e sono grandissimi amici da quando avevano cinque anni. Vaclav vive con i genitori: Rasia, la mamma, sempre preoccupata per il figlio che cerca di tenere lontano da quanto di brutto e crudele esista a New York e Oleg, il padre, un affermato architetto in madre patria, ma ora, ridotto a fare il tassista e quasi sempre in preda ai fumi della vodka; tutto sommato a Vaclav va ancora piuttosto bene: la piccola Lena vive sola con una zia abbastanza fatiscente, Ekaterina, che non si preoccupa minimamente della nipote e ha una professione e delle abitudini… discutibili. La lascia a se stessa e la considera un peso; vorrebbe non averla tra i piedi e la sua amicizia con Vaclav almeno la tiene lontana da casa durante il giorno. Così i due bambini passano moltissimo temo insieme e condividono una grande passione: la magia. Vaclav è il mago e vorrebbe ripercorrere modestamente le orme del grande David Copperfield e dell’ancora più grande Houdini, Lena è la meravigliosa, stupenda ed insostituibile assistente. Vaclav sta cercando in tutti i modi di organizzare uno spettacolo con o senza il permesso dei genitori a Coney Island, laddove cominciò il grande Houdini. Ma proprio mentre fervono i preparativi, Lena sembra cambiare di colpo: lo ignora, ha fatto amicizia con altre bambine della scuola e si vergogna a farsi vedere con lui (e chissà se vuole ancora sposarlo una volta diventati grandi). Loro sono stati sempre i bambini dell’inglese per stranieri, gli immigrati che mangiano cose puzzolenti e da sempre vengono isolati dagli altri perché considerati strani, ma adesso Lena sembra essere entrata in una nuova dimensione nella quale si sente accettata. Anche se Vaclav non vuole prestare attenzione a questi strani atteggiamenti, Rasia non può farne a meno: Lena, che spesso si ferma da loro per cena, prima è stata male e ora si abbuffa, spazza qualcosa ci sia nel piatto, ma, nonostante questo, resta estremamente magra e pallida. Le ha sempre fatto una gran tenerezza fin dal giorno che Ekaterina l’aveva accompagnata a casa sua consegnandola come se fosse un piccolo pacco. Yelena, una bambina taciturna e timida, indifesa davanti al mondo che tanto preoccupava Rasia. Così come ogni volta la riaccompagna a casa, la mette a letto (un materasso sul pavimento), la copre e poi le racconta una storia aspettando che Lena sia addormenti. Ma il giorno dopo la piccola non si presenta a scuola, così Rasia, la sera stessa va a controllare. La situazione ha raggiunto il limite. Decide di andare alla polizia e metterla al corrente delle condizioni di abbandono in cui vive la piccola; il risultato è che Lena viene prelevata e mandata in un luogo sconosciuto e protetto, in modo che sia al sicuro. Il giorno seguente Rasia porta Vaclav al Sideshow, dove lui avrebbe dovuto esibirsi con la sua incantevole assistente ed una volta tornati a casa lo mette al corrente. Lui reagisce disperato: come farà a ritrovare la sua amica? Loro non sono famigliari e non accesso alle informazioni; bel guaio ha combinato sua madre, ha fatto sparire la sua futura moglie!

Vaclav ora ha diciassette anni, è alto un metro e ottanta ed è affascinante. Ha una fidanzata, Ryan, la tipica americana che non entusiasma Rasia, ma che lui adora. La magia è ovviamente cresciuta con lui ed ora si esercita con l’appoggio della ragazza. Eppure in tutti questi anni, sette, lui non ha mai dimenticato Lena (e nemmeno sua madre anche se dice il contrario); ogni sera augura la buona notte a quella bambina che oramai ha diciassette anni come lui. Ma una sera, nel giorno del compleanno di Yelena, decide di interrompere questo augurio, sperando che non comporti nulla di grave.

Lena è a scuola. Chiusa nel bagno. Nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Ha già ricevuto molti regali eppure è triste; è sveglia, intelligente, ha molti hobby, ma, nonostante questo, si sente vuota. È stata adottata a nove anni e conduce una vita normalissima, ma non riesce a dimenticare che non sa nulla di sé, dei suoi genitori, della sua nascita. Ripensa tristemente alla sua infanzia, prima con una nonna che non era sua nonna, poi con Anna nella casa famiglia felice e serena con altri bambini, all’improvviso proiettata nella vita della vera zia che comunque non la voleva, e infine tra le braccia di Emily, sua madre adottiva. E poi Vaclav. Lei non lo ha dimenticato. Lo tiene stretto dentro di sé. Ed è arrivato il momento di chiamarlo.


Non vi dico altro. Ma leggetelo, ne vale la pena. Mi aveva incuriosito il titolo ma non avevo idea di cosa avrei trovato. Invece è una bellissima storia, raccontata molto bene anche se parte un po’ in sordina. Può sembrare banale all’inizio, ma non lo è. Ci sono dei risvolti inaspettati ed una profondità che non si coglie fin quasi all’ultima pagina. A tratti una favola a tratti commovente, sono sicura che leggerete questo romanzo tutto d’un fiato.

lunedì 9 settembre 2013

L'ultima riga delle favole

Inizio: 6 settembre 2013
Fine: 9 settembre 2023

Tomàs è un uomo che non crede più nell’amore già da un pezzo, cerca di attrarre a sé le donne e poi irrimediabilmente fugge. Starnuta ogni volta che l’amore è nell’aria, sembra quasi che vi sia allergico. Disilluso, rassegnato e sconsolato non riesce comunque a resistere ad Arianna, conosciuta durante un conferenza intitolata Il peggiore dei mondi possibili. Ma quando lei lo scarica, dando forfait al loro appuntamento, Tomàs crolla definitivamente. Si rifugia sulla spiaggia, dove per scappare ad un’aggressione (o presunta tale), per poco non affoga e davanti alla morte ecco nuovamente il pensiero di lei, Arianna. Al suo risveglio Tomàs scopre di non essere morto né tantomeno ricoverato all’ospedale, ma finito non si sa come in quello che chiamano le Terme dell’Anima. Stella Maris, l’avvenente ragazza che lo ha accolto, gli spiega che è stato proprio lui ad esprimere il desiderio di essere curato. La sua anima è ridotta in uno stato pietoso e dovrà fare un grande lavoro su se stesso per rimetterla in sesto. Nemmeno l’incontro con il medico, che come tutti pare leggergli nel pensiero e conoscere ogni aspetto della sua vita, calma la sua ansia crescente. Tomàs non crede ad una sola parola di quanto sentito: è convinto di essere stato rapito da una setta di psicopatici, ma per lui non sembra esservi via di scampo. Dovrà lavorare sulla sua capacità di lasciarsi andare ai sentimenti, sulla sua paura di cedere a qualcosa di effimero che lo farà solo soffrire, sulla determinazione necessaria per raggiungere uno scopo e non meno importante, sul suo talento. Sempre più stordito da prove uscite da un libro a metà tra la fiaba e il torneo medievale, Tomàs scopre di non essere il solo in quella gabbia di matti. Ci sono Polvere un uomo di mezza età che vive solo in una baracca sull’oceano riparando tavole da surf e Morena, una diva del cinema strappata alla povertà da un benefattore cieco, l’unica persona di cui lei si sia mai fidata. Entrambi sono stati disillusi dalla vita e dall’amore e sono ridotti in condizioni altrettanto pietose. Tomàs comincia a prendere il suo soggiorno alle terme con filosofia, collaborando e sperando di uscirne sano e salvo il prima possibile. Morena è decisamente un buon sostegno, non proprio sta grande simpatia, ma sicuramente meglio del cinico Polvere, che si è trincerato dietro la non volontà di seguire gli insegnamenti del tempio. Buffe figure sia aggirano per le terme: un’insegnante di ginnastica dalla voce metallica che obbliga Tomàs a correre su un tappeto per lanciare il suo desiderio nell’universo; una massaggiatrice di anime che toccando le tempie stimola visioni della vita di ognuno; Andrea, il Cantastorie androgino a forma di anfora, che rac-canta a ritmo di Bocca di Rosa delle storie per rendere consapevoli Tomàs e gli altri di cosa sia realmente l’amore; Noah, una specie di sacerdote saggio che parla solo ed esclusivamente per frasi fatte e aiuta il protagonista a scoprire quale sia realmente il suo talento. E poi infinite vasche e tisane… vasche per uscire dall’Io ed entrare nel Noi, vasche per affrontare paure che hanno condizionato la vita di Tomas (e degli altri), vasche che mostrano universi paralleli, situazioni diverse a seguito di scelte diverse, vasche ricolme di ricordi dolorosi. Tomàs dovrà nuovamente affrontare la morte della madre e il disinteresse del padre, la sua via da orfano con zia Tristina, la sua paura d’amare arriva da lì. Da ciò che ha amato e ha perso da un giorno all’altro. Tisane che infondono coraggio, altre che infondono il sapere, altre ancora che semplicemente rilassano… una vera e propria spa dell’anima, come d’altronde reca il cartello d’entrata. Ora bisogna vedere se Tomàs riuscirà a portare a termine il suo viaggio… a ricongiungersi ed amare finalmente la sua anima, perché solo attraverso questo potrà arrivare alla sua Anima Gemella (che forse si chiama Arianna).


Non è facile questo viaggio attraverso se stessi e tutti ci sentiamo un po’ Tomàs… vasche a parte ho provato davvero a mettere in pratica ciò che viene consigliato e devo dire che, forse, questo libro è terapeutico. Ad ogni frase senti davvero che qualcosa si scioglie dentro di te. Questo romanzo è una citazione vivente ed alcune frasi lasciano davvero senza parole. E poi, anche se non ho ancora capito come, infonde gioia. Una vera e profonda gioia. Gramellini ha capito come si arriva al cuore delle persone. O per lo meno ha capito perfettamente come arrivare al mio.

venerdì 6 settembre 2013

I baci non sono mai troppi

Inizio: 12 marzo 2013
Fine: 6 settembre 2013

Un aeroporto, due amiche e tanta acqua passata sotto i ponti. Comincia così questo libro, quando il destino ha fatto rincontrare Eva e Lucia. La loro amicizia, iniziata da bambine, si è bruscamente interrotta anni prima per qualcosa di … rilevante. Ed ora eccole lì, l’una davanti all’altra visibilmente emozionate, a darsi un appuntamento. La bionda e la mora, il sole e la luna, due contrapposizioni viventi, perché loro due non potrebbero essere più diverse. Eva è bionda, bellissima (con tanto di carriera da attrice), dolce e sensibile, alle volte un po’ ingenua, tutta amore e gentilezza; la sua vita è la sua famiglia, fortemente voluta e per la quale ha rinunciato al suo lavoro, suo marito Raul e sua figlia Lola. Lucia è mora, bella e forte. L’infanzia l’ha segnata con la prematura scomparsa della madre e lei, spirito libero, da allora cerca di rimanere indipendente. Donna in carriera, sempre super impegnata e iperattiva, è riuscita a mandare a rotoli perfino la sua storia con Jorge: lui voleva dei figli, lei no. Eppure nella loro diversità queste due bambine, per tanti anni sono state inseparabili. Dopo la morte della madre di Lucia, Eva e la sua famiglia presero l’abitudine di tenerla presso la loro casa per gran parte della giornata, fino quasi ad adottarla, aiutando sua padre Julian a riprendersi e lei a sorridere. Fino ad un giorno, nel quale, qualcosa si è rotto. L’autrice è molto brava a far trapelare solo minimi indizi sulla causa della rottura, senza svelare anzitempo il mistero del loro allontanamento. Solo che nel far questo a Martos viaggia avanti e indietro nel tempo (presente compreso) per darci sprazzi di giornate, di conversazioni, istanti rubati ad un parco di Eva e Lucia bambine. I loro litigi da adolescenti, la formazione pian piano della loro personalità attraverso il confronto con Ana, la sorella di Eva. Poi le superiori, loro due sempre assieme, Lucia infastidita da un certo Ivan ed Eva innamorata di un certo Miguel (che diventerà poi il suo ragazzo).  La Martos dissemina per tutto il libro i ricordi di questi anni, di Oscar e Fernando, della neonata relazione tra Eva e Raul. Saltando di anno in anno, avanti e indietro nel tempo, però, il quadro complessivo ne risente un po’ e il lettore, spesso, si sente confuso. Almeno per quanto riguarda l’ordine cronologico del passato; il presente è chiarissimo. Lucia è sola, Jorge l’ha lasciata e lei si è buttato anima e corpo nel lavoro; Eva invece ha deciso di lasciare il marito, una soluzione estrema che mai avrebbe pensato di usare. Ma poco dopo la loro separazione, Raul improvvisamente muore in un incidente ed Eva si ritrova realmente senza un marito e Lola senza un padre. Meno male che a fare da spalla al suo dolore c’è Lucia, non poteva esserci compagna e sostegno migliore. Anche per la piccola Lola con la quale zia Lucia ha legato stretto, neanche fosse la madre. Ha legato talmente stretto da volere diventare madre prima che il suo orologio biologico smetta di essere dalla sua parte. Non moglie, solo madre. E così Jorge rispunta nella sua vita per essere padre, non marito, solo padre. Eva nel frattempo comincia a vedere un certo Javier, che però appare e scompare a suo piacimento. Per fortuna che si è rimessa a lavorare, per distrarsi, ed ha conosciuto Victor, uno degli allievi di un’azienda ai quali insegna comunicazione. Eppure dietro l’angolo c’è la malattia di Eva, che riunisce tutte le donne della famiglia come un branco di leonesse, per non sentirsi sole e non far sentire le altre sole. Ma poi la vita deve avere la meglio sulla sofferenza. Bisogna andare avanti. Almeno bisogna provarci. Con le persone importanti accanto.

Nonostante io mi senta in tutto e per tutto come Eva, ci sono lati di Lucia che mi appartengono altrettanto. Questo libro, narrato a due voci, quello delle protagoniste alternativamente, ha qualcosa di magico. All’inizio non lo si percepisce così chiaramente, si è come sospesi; forse anche la scelta di ricorre a dei non-luoghi come gli aeroporti di Madrid e Barcellona, in qualche modo, segna i passaggi di vita, fa saltare il lettore da una dimensione all’altra senza nemmeno accorgersene. Dolce e commovente, raccontato con una forza spaventosa, trasmette la semplicità che tutti dovremmo imparare a non perdere mai, a desiderare sempre.


Ho lasciato questo libro fermo dei mesi, parcheggiato sul mio comodino. Ci sono momenti nei quali la realtà non mi permette più di leggere e devo per forza smettere. Ma voi, se potete, leggetelo tutto d'un fiato.

High & Dry - Primo Amore

Inizio: 25 luglio 2013
Fine: 5 settembre 2013

Alla faccia della quarta di copertina che presupponeva qualcosa di magico!!! …. non solo non l’ho trovato, ma in questo libro ho visto una strana Banana Yoshimoto. Molto più leggera e meno profonda che in altri libri. Non so perché ma nella mia testa questo libro aveva preso forma in maniera totalmente diversa. Infatti ad un certo punto, quasi delusa dall'andamento, l'ho abbandonato sul comodino, come per punirlo di non aver atteso alle mie aspettative... ma oggi, quella copertina gialla mi ha chiamato ed io ho risposto.

Yuko Iizuka è una ragazza di quattordici anni, con una grande passione per il disegno. Frequenta un corso diretto dall’insegnante Hisakura (per tutti Kyu). Vive con la madre, con la quale quotidianamente mangia quinti di gelato, questo è il loro momento di felicità. I suoi genitori non sono separati, ma il padre, sempre in viaggio per affari, non è mai a casa. Nonostante quest’assenza pesante, la sua vita scorre felice e senza grandi pensieri, fino a quando, un giorno, si rende conto di vedere e sentire cose che tutte le altre persone non avvertono. La cosa la turba, ma allo stesso tempo è felice quando le capita qualche visione inaspettata. Non sa con chi condividere questo segreto fino a quando, un giorno, sia accorge che il suo maestro sta guardando proprio quello che sta guardando lei, fuori dalla finestra dell’aula. Solo loro due, perché ovviamente nessuno si è accorto di nulla. Yuko finalmente può condividere quella stranezza con qualcuno; vorrebbe invitare fuori Kyu, frequentarlo, per parlare di tutto ciò che accade loro. Trova il coraggio, ma il suo insegnante, ligio al dovere, le dice che la loro frequentazione non sarebbe opportuna, vigendo il serio rapporto allieva-maestro. Così Yuko, di punto in bianco, abbandona colori e matite e si ritira dalla scuola, pronta a qualsiasi sacrificio pur di frequentare quell’uomo al quale tanto si sente affine e legata. Ovviamente non tarda molto prima che la madre si accorga dei cambiamenti della figlia e venga a scoprire dei suoi incontri con il maestro, al quale pone una serie di domande in merito e, messe le cose in chiaro, non pare ostacolare più di tanto la loro frequentazione. Certo, non è cosa di tutti i giorni assecondare una figlia adolescente a fidanzarsi con il suo insegnate, tuttavia sua madre si fida di lei. Non si può negare che quei due abbiano molto in comune, a partire dal loro rapporto con la famiglia, passando per la sindrome dell’abbandono. Nonostante le sue buone e caste intenzioni, per la piccola Yuko le cose si complicano. Nonostante non voglia fare passi affrettati,  Kyu le piace veramente. Ed in qualche modo è gelosa ed affascinata dalle due donne che aleggiano nella sua vita, Miho innamorata e non ricambiata, pronta a passare la sua vita amandolo in silenzio e Hotsumi, amata e che non ricambia, che lo ha lasciato perché non poteva sopportare la quieta ma ingombrante presenza di Miho. Dopo averle conosciute entrambe alla mostra personale di Kyu (che è uno scultore) ovviamente decide di affrontare l’argomento con lui; quasi buffo questo dialogo tra lei, quattordicenne e lui, con il doppio dei suoi anni, tanto imbarazzato quanto onesto. Kyu, già stanco di alcuni meccanismi che la piccola Yuko deve ancora scoprire. Eppure tra di loro, tra gelosie e serietà, stranamente ingrana; ingrana al punto tale che Kyu porta Yuko a conoscere sua madre con il pretesto di regalarle una delle sue opere. Questo piccolo viaggio avrà per tutti e tre un sapore speciale e indimenticabile.


Se c’è un tema che ricorre in questo romanzo è sicuramente quello della famiglia, ed in particolare il rapporto genitori-figli e tra padre e madre (in quanto marito e moglie), con tanto di deviazioni pericolose, come abbandoni, gelosie, senso di inadeguatezza e rancore. La famiglia è declinata in tutte le sue sfumature. Al rapporto di Yuko e Kyu in realtà si da spazio, ma uno spazio marginale, secondario; non è il primo amore di Yuko a farla da padrona. È la crescita di entrambi, la capacità di affrontare fantasmi del passato che incombono sul presente. Non si parla più né di magia né d’altro di simile, quello era solo il pretesto per far incontrare due anime e fonderle. Perché alla fine, nonostante la loro differenza d’età, si avvicinano l’uno all’altra fino quasi a confondersi.

giovedì 5 settembre 2013

Hunger Games - Il Canto della Rivolta

Inizio: 29 agosto 2013
Fine: 2 settembre 2013

Ragazzi che mazzata. Nemmeno il tempo di rimettere la copertina al secondo libro e già avevo svolto il terzo, giusto per farvi capire quanto questa donna è capace di tenermi incollata alle sue pagine. E mi ci ha tenuto fino a notte fonda. Ho dovuto leggerlo tutto d’un fiato. Oddio, d’un fiato no, perché leggendo alcuni passaggi mi mancava l’aria, ho dovuto fermarmi. Fermarmi a respirare, perché, pur essendo entusiasta della saga, devo ammettere che questo libro ha un sapore diverso rispetto agli altri. Se avesse un colore sarebbe il grigio, piombo. Se avesse un odore sarebbe quello della muffa, che si attacca in gola. 

Katniss, Johanna, Beetee e Finnick sono stati salvati dall’arena. Proprio quando Katniss, aggredita da Johanna, pensava di essere spacciata ed il suo obiettivo, mantenere Peeta in vita, completamente fallito. Ed il suo risveglio, in una stanza d’ospedale del Distretto 13 è decisamente peggiore dell’Arena. Il Distretto 12 non esiste più, completamente raso al suolo dalle forze di Capital City per ordine di Snow. Qualcuno si è salvato, grazie alla prontezza di spirito di Gale; la famiglia del ragazzo e quella di Katniss sono state tratte in salvo dai ribelli del Distretto 13 (tra i quali lo stratega Plutarch, vecchia conoscenza), ma molti altri sono morti. Come l’intera famiglia di Peeta. Giusto, Peeta, lui dov’è? Non è stato tratto in salvo ed è stato preso da quelli di Capital City. Katniss stenta a credere che Haymitch lo abbia abbandonato così dopo aver promesso che avrebbe fatto il possibile per tenerlo in vita; ma lei ancora non sa che una forza più grande gioca con le loro vite. Una forza chiamata Coin. Katniss è stata scelta per personificare la rivolta contro Capital City, la Ghiandaia Imitatrice sarà il volto e la voce di tutti i ribelli. Mentre lei ancora si dispera per Peeta, il suo staff, rapito dalla capitale, è pronto per farne la star di cui la rivolta ha bisogno ed una troupe televisiva è già indaffarata pronta a girare. Solo Finnick sembra comprendere il suo dolore e condividere il suo stesso sdegno per essere letteralmente usati come pedine. Quando ormai Katniss ha perso ogni speranza che Peeta sia vivo, lui comincia ad apparire nelle televisioni rilasciando interviste: sofferente, magro e soprattutto orchestrato a dovere. La Ghiandaia ricatta la Coin per riavere Peeta, ma non è preparata a quello che si trova davanti: il ragazzo non è più lui. La odia, vede il male in lei, la vuole uccidere, eppure si è fatto quasi ammazzare per avvertire il Distretto 13 di un’imminente bombardamento. Qualcosa di lui deve esser pur rimasto. Attraverso incursioni più o meno fittizie nei vari Distretti, la rivolta va avanti. Incalzata anche dai pass-pro mandati in onda illegalmente da Beetee. Ora bisogna prendere Capital City e soprattutto Snow. Katniss ignora il prezzo che avrà tutto questo, lo immagina, ma non sa realmente quello che le aspetta. Solo più tardi si renderà conto davvero quale scia di sangue sia stata necessaria per arrivare a Snow. Sangue della sua stessa famiglia e dei suoi amici. Sangue di innocenti e di passanti ignari.


La fine di questo libro (e della saga) è tutt’altro che scontata. Ci si arriva un passo alla volta, in un’atmosfera claustrofobica e maniacale, quasi paranoica. La spietatezza del sistema non è filtrata dalla Collins come nei libri precedenti, ma arriva dritta come un destro ben piazzato. E stordisce, il lettore come i protagonisti. È crudo, feroce e incalzante. Ho letto molte recensioni nelle quali si criticava la figura di Katniss, così come la Collins l’ha voluta in questo ultimo capitolo. A me personalmente è piaciuta moltissimo, estremamente umana, nel senso alto del termine, nel senso di essere umano con tanto di punti deboli e crolli. Ho apprezzato molto l’evoluzione del personaggio e la capacità di coinvolgere il lettore fino all’ultima pagina. So che stiamo parlando di un fantasy, ma riesce a commuovere davvero in certi passaggi. In altri, smetti semplicemente di respirare. Libri come questo mi fanno realmente capire quale potente forza abbiano le parole.

Educazione Siberiana

Inizio: 2 settembre 2013
Fine: 5 settembre 2013

Decisamente incuriosita dalla controversia che caratterizza questo libro, l’ho comprato. Di solito cerco di farmi un’idea personale, tutta mia, di libri ed autori, a prescindere dalle convinzioni (più o meno condivise) generali. Non ho guardato la trasposizione cinematografica per via della prima regola ferrea di Ileen Elayne: prima si leggono i libri dopo si guardano (eventualmente) i film. Tornando ad Educazione Siberiana…

Devo dire che, nonostante il tema ostico, è tremendamente scorrevole ed interessante. Tanti complimenti a Nicolai se l’italiano è tutta farina del suo sacco. Mi spiego meglio: il lessico potrebbe essere più preciso, così come le strutture grammaticali, nonostante tutto il linguaggio, nel senso di “potere comunicativo delle parole”, è eccezionale.  Sul fatto che poi tutto sia vero… sinceramente non saprei. Non è tanto il fatto che le situazioni siano inverosimili, ho letto documenti storici decisamente peggiori, ma mi rende perplessa il rifiuto di Nicolai di tradurre il suo libro in russo. L’autore, dal canto suo, giustifica questa scelta fondandola sul rispetto degli Urca; io, dal canto mio, credo che gli Urca possano accedere comodamente alle versioni in inglese o francese qualora volessero… quindi…

molti credono che la sua autobiografia sia inventata di sana pianta ed il suo rifiutare la scorta fa pensare che non abbia proprio nulla da temere. Tuttavia non ho abbastanza elementi per decidere se fare di lui un furbo o un uomo con tanto di quel pelo sullo stomaco, che la metà basterebbe. Quello che posso dirvi è che questo autore, se non racconta la sua biografia, ha creato una gran bella autobiografia fittizia e quindi, i miei complimenti comunque. La storia narra della sua vita, dall'infanzia. Si ripercorrono le abitudini della vita tradizionale criminale degli Urca, dalla quale la famiglia di Nicolai “Kolima” Lilin discende e della quale lui è parte integrante. Ambientata in Transnistria (una zona indipendente ma mai riconosciuta come tale, disputata da Russia e Moldavia) la sua infanzia da educando siberiano passa spensierata tra risse, arresti, armi, retate, lotte contro a polizia e “nonni” che seguono la sua educazione. Niente di particolarmente cruento come si potrebbe immaginare, ma molto codificato. Nicolai impiega pagine su pagine per spiegare dettagliatamente il pensiero degli Urca, la loro concezione di rispetto degli altri e il loro disgusto per la violenza (gratuita oppure non giustificata). Spiega in modo interessante la loro concezione di religione, lo stretto legame con le icone e con le armi e il rifiuto della cultura americana. Dedica un capitolo intero ai tatuaggi: non semplici disegni simbolici, ma veri e propri libri “sofferti”, per usare le sue parole, dai criminali. Questi intricati disegni racchiudono tutta la loro biografia, secondo regole ben precise e riti quasi al limite del fanatismo religioso. Certo, bisogna essere in grado di leggerli e per farlo bisogna essere dei kol’sik (tatuatori… ma nel senso alto del termine, quasi fossero cerimonieri o sacerdoti). Questo è il lavoro che Nicolai ha scelto di imparare da nonno Lesa. Un lavoro che all'apparenza non ha a che fare con traffici illeciti e crimini, ma altamente qualificato e difficile. Non che nella vita del giovane manchino i crimini ed il conseguente carcere. Nel capitolo “il giorno del mio compleanno” Nicolai percorre un intero quartiere (il quartiere Ferrovia) ripercorrendo una serie di risse ed imboscate con tanto di feriti in modo grave che, ovviamente, gli aprirono le porte del carcere minorile (non che fosse la prima volta che veniva condannato). Ho letto molte lamentele riguardanti l’abitudine dell’autore di saltare avanti ed indietro nel tempo, senza permettere al lettore di seguirlo con semplicità. A mio modesto parere gli interventi molto frequenti di Lilin (che in questo modo produce molteplici racconti mentre sta narrando un evento particolare) sono spesso molto utili e sempre pertinenti, oltre a non coprire mai più di una pagina o due; non c’è dispersione e il lettore si raccapezza molto facilmente. Sicuramente il capitolo citato sopra rappresenta perfettamente un continuo flashback, necessario alla narrazione di alcuni eventi. Al carcere minorile poi, l’autore dedica un intero capitolo, abbastanza breve ma particolarmente truce. Non che ci si possa immaginare la vita in carcere diversa da così, però la violenza descritta in alcuni (la maggior parte) dei comportamenti è davvero realistica. Alcune descrizioni poi, sono un po’ forti rispetto al resto del libro, ma alla fine, trattandosi di vita carceraria, ci stanno. Non c’è sadismo nel racconto di Nicolai, solo i fatti, che già da sé sono raccapriccianti. In effetti tutta la narrazione si limita ai fatti, dai fatti prende spunto per raccontarne altri o giustificarne alcuni. Tutto gira intorno a questo. Non ci sono mai giudizi di Nicolai, solo quelli di Kolima che alle volte traspaiono dai dialoghi. Convinzioni che vengono difese perché espressione dell’educazione siberiana. L’autore spunta qua e là precisando qualcosa, senza vergogna o rammarico per ciò che prima avveniva nella sua vita, semplicemente ricordando all'autore che Nicolai e Kolima non sono più necessariamente la stessa persona. Eppure anche in questi brevi stralci non ha mai parole di biasimo o rimprovero verso quell'educazione ricevuta da bambino; al massimo si limita a dire “è l’educazione siberiana che parla per me”.


Concludendo, cercherò qualche informazione per comprendere quanto ci possa essere di vero in questa pseudo o tale autobiografia. A prescindere da questo però, ho comunque trovato un libro diverso da molti di quelli in commercio attualmente, che tratta di un tema particolare e non semplice. Ho trovato il modo di scrivere molto piacevole e scorrevole e quindi ve lo consiglio. Quanto ai contenuti, veritieri o no, trovo che vi siano notevoli punti di riflessione… perciò Lilin è decisamente promosso!

mercoledì 4 settembre 2013

Hunger Games - La Ragazza di Fuoco

Inizio: 29 agosto 2013
Fine: 29 agosto 2013

Secondo libro della saga. Fila via esattamente come il primo. Stessa fluidità e capacità dell’autrice di tenere il lettore incollato al libro. Siamo nel mezzo e quindi non ha senso fare ulteriori giudizi sulla storia complessiva; rimando il tutto a fine saga.


Gli Hunger Games sono terminati e Katniss è riuscita a sopravvivere. Non solo, è anche riuscita a far sopravvivere Peeta. Nella storia degli HG è la prima volta che dall’arena escono due vincitori. Ma questa vittoria ha il sapore di una menzogna: Katniss ha inscenato una storia d’amore con Peeta, che per lei è stato solo un mezzo per salvarsi, mentre per lui è un sogno che si realizza. Come tutte le bugie, anche questa è destinata a crollare e nel momento in cui Peeta realizza che da parte di Katniss è stato solo uno stratagemma, i due si dividono. Ritornati nel loro distretto conducono vite diverse da quelle che hanno lasciato, divisi, come lo erano prima. Tuttavia entrambi sanno benissimo che davanti alle telecamere dovranno continuare la loro farsa che ha commosso e e convinto tutta le gente dei distretti e di Capitol City. La finta relazione ha messo a dura prova il rapporto tra Katniss e Gale, che impiega tempo a ripartire e quando riparte viene di nuovo messa alla prova. In occasione del loro Tour della Vittoria, Katniss e Peeta, vengono a sapere delle imminenti preparazioni per gli HG della memoria, evento che si svolge ogni 25 anni. In questi giochi le regole possono cambiare ed essere diverse dai giochi che si svolgono ogni anno. Ed infatti così è. I giochi della Memoria prevedono una cosa impensabile: i partecipanti dei giochi saranno ex vincitori dei giochi annuali. Il mondo dei due va così in frantumi; l’unica cosa sulla quale potevano contare, ovvero la loro esclusione a vita dai giochi, è saltata e si ritorce contro i vincitori del Distretto 12: Kat, Peeta e Heymitch. Solo tre persone e sicuramente Katniss è già dentro quell’arena un’altra volta. Viene estratto Heymitch, ma Peeta si offre al suo posto. Tutto si ripete esattamente come l’anno prima. Qualcosa in realtà è cambiato: il gesto disperato di Katniss che finge di ingerire le bacche, da alcuni è stato visto come una sfida al presidente Snow ed ai giochi, come un atto di ribellione al sistema. Così il Distretto 8 è insorto e anche negli altri qualcosa si muove. Anche nel 12 è cambiata la sorveglianza e Gale è stato frustato quasi a morte per aver cacciato della selvaggina illegalmente. Snow sa della messa in scena di Katniss e la minaccia esplicitamente, sa che non ha volontariamente inneggiato alla rivolta, ma sa anche che il suo comportamento può essere la miccia che tutti aspettano da tempo. Ma più i ragazzi cercano di far sembrare il loro amore puro e allo stesso tempo di non dare spunti di tipo insurrezionale, più fanno danni. La rivolta è iniziata e porta come simbolo la ghiandaia di Katniss, quella impressa sulla spilla regalatale da Madge. Il tempo stringe e in un battibaleno, senza tutti i convenevoli dell’anno prima i ragazzi vengono sbattuti nell’arena; un’arena strana e circolare, piena d’acqua salata e circondata da una giungla. Nonostante il patto di non allearsi Katniss deve arrendersi alla gentilezza di Finnick che fin da subito da prova di coraggio e di voler difendere lei e Peeta. Al gruppo si aggiungono poi i due del Distretto 3, Wiress e Beetee e Johanna Mason, Distretto 7. Le alleanze sono qualcosa che non funziona nell’arena, qualcosa che poi ti si ritorce contro quando ti rendi conto che solo uno sopravvivrà; ma Katniss questa volta è decisa a fare di tutto perché i giochi li vinca Peeta e davanti a questo niente le fa timore, nemmeno il ricordo della piccola Rue. Quello che non può sapere è che qualcuno ha in mente qualcosa di molto diverso per lei.

Il coperchio del mare

Inizio: 16 agosto 2013
Fine 28 agosto 2013



Dolce, fresca e delicata. Non trovo aggettivi più calzanti di questi per questo romanzo di Banana. Oramai lei è una certezza, quando il mio umore peggiora, lei è un po’ come un balsamo lenitivo. Non che tutti i suoi romanzi siano uguali, ma è come se ognuno di loro andasse bene per un dolore diverso… trovi sempre quello che ti serve. E dopo ti senti decisamente meglio.

Questa è la storia di Mari, una giovane ragazza che decide di aprire un piccolo chiosco di granite nel suo paese natio. Un’idea nata lontano, su un’isola in vacanza. Un’idea che si è insinuata nella sua coscienza, senza lasciarle scampo. Parlo di coscienza perché Mari ha un grosso senso di colpa: il suo paese sta andando in rovina, tutto è in declino e lei si sente responsabile; vorrebbe fare di più e contribuire alla ripresa di quel piccolo villaggio di pescatori tanto ricco di tradizioni. I negozi che lei ricorda da bambina non esistono più, il tempio è lasciato a se stesso, nessuno lo pulisce e se ne cura. Segni dello scorrere del tempo ricordano a Mari che l’amore per le cose semplici è stato sostituito dal dio denaro e dal consumismo. Eppure i turisti abbondano in estate, quindi, forse, con un po’ di buona volontà, qualcosa si può ancora recuperare. Questa, però, è anche la storia di Hajime, una ragazzina segnata irrimediabilmente dalla vita. Dentro e fuori. Da piccola è stata salvata dalla nonna durante un incendio; il fuoco le ha lasciato segni indelebili su tutto il corpo, ma la nonna le ha salvato la vita. La morte della donna getta Hajime nello sconforto e nella depressione profonda; dopo aver passato tutto la sua giovane vita con lei, non riesce a superare questo trauma. Inoltre i parenti si gettano come sciacalli sugli averi dell’amata donna, senza alcun tipo di rispetto o di amore nei suo confronti. Il dio denaro che Hajime non rispetta e non condivide. Una vacanza a casa di un’amica di sua madre, sembra offrirle quel tanto di distrazione che le permetta almeno di mandare giù qualche boccone e non passare le sue giornate piangendo. Ma Mari e Hajime non si conoscono, non sono amiche e si vedono per la prima volta. Mari non riesce, non può ignorare le devastanti cicatrici che Hajime porta sul suo corpo e sul suo bel viso; non riesce nemmeno a non notare la magrezza esasperata di quel corpicino, che pure, a suo modo, sembra avere una gran forza. Per cui l’imbarazzo la fa da padrona nei loro timidi tentativi di approccio, nonostante tutte le buone intenzioni di Mari. Non si può certo pretendere che diventino migliori amiche da un giorno con l’altro, così diverse. Una, appena laureata, sa cosa vuole, ha aperto il suo chiosco che gestisce con energia, Mari così mascolina e piena di vita, senza grandi pretese; l’altra, Hajime, traumatizzata dalla vita e dalla morte, una viziata ragazza di città che ha scoperto troppo presto quanto può essere dura la vita. Cosa in comune allora? La passione per il mare e le granite o forse la irrefrenabile voglia di trovare per forza qualcosa da condividere. Così Hajime si offre di aiutare Mari con il suo piccolo chiosco, in cambio di qualche granita. L’idea è un successo e le ragazze cominciano lentamente ad aprirsi l’una nei confronti dell’altra; Mari comincia a riesplorare il suo paese per permettere ad Hajime di comprendere attraverso le sue parole, quanto sia cambiato e quanto purtroppo sia andato perso. Queste piccole ed intense escursioni quotidiane, così come le nuotate, permettono alle due amiche di confrontarsi su temi cari a Banana e che permettono sempre al lettore di trovare spunti interessanti.


Un libro dolce e delicato che inserisce il lettore nell’amicizia di Mari e Hajime, rendendolo partecipe delle loro sofferenze e dei loro sforzi per ritrovare la felicità e la serenità. L’amore per le cose semplici e per ciò che abbiamo perso ci insegna che non è mai troppo tardi o troppo presto per sorridere.