domenica 24 agosto 2014

Open

Inizio: 1 luglio 2014
Fine: 22 agosto 2014
Ho sempre avuto un amore sconsiderato per il tennis. Lo seguo tutt’ora. Lo seguo meglio da Rafa Nadal in poi, non per lui, per un caso, per la possibilità di vedere i match in tv. Ma è uno sport che amo da sempre e da sempre guardo da lontano.
A sette anni ho cominciato a guardare i miei amici prendere lezioni e giocare. Andavo ogni giorno assieme a loro, li aspettavo, li vedevo correre, ridere e sudare, affannarsi avanti e indietro sulla terra rossa. Ricordo perfino il nome dell’istruttore. Io non ho mai potuto unirmi a loro: quando avevo dieci anni, il tennis non era uno sport alla portata di tutti. Costava parecchio, per dirla in breve. Se esistesse o no la tv a pagamento, io non lo ricordo; ricordo solo che i primi nomi di tennisti li ho imparati molto dopo, prima sui videogiochi nelle sale (a tredici anni) e poi guardando il Roland Garros su France 2 (ed ero già una sedicenne) fissandomi su questo benedetto russo che rispondeva al nome di Yevgeny Kafelnikov. Senza un perché, mi piaceva. Punto. A dieci anni, di Agassi (che per anni ho creduto un francese, poiché molti pronunciavano il suo nome con le sillabe finali accentate), conoscevo solo il nome, non lo avevo mai visto giocare e credo di averlo intravisto raramente in qualche foto. Era un nome per me, nulla più. Quando lui ventiduenne vinceva il suo primo Wimbledon, nel 1992, io avevo giusto giusto quell’età. Mentirei quindi se dicessi di ricordare partite, date, momenti. No. Ricordo i nomi: Agassi, Sampras, Becker, Borg, Graff, Courier, Kafelnikov, Moya, Henman, etc… Ma di Agassi sapevo una cosa: c’era chi lo amava e c’era chi lo detestava. Ed era molto più facile incontrare chi non lo digeriva. I miei ricordi hanno in qualche cassetto Andre vestito di rosa, come un ciclista, Andre con i capelli lunghi biondi, Andre con un orecchino a cerchio al lobo. Nulla di più, immagini libere come cani sciolti. Mai avuto un’opinione a riguardo, mai avuto interesse verso questo atleta. Ricordo solo che il suo cognome era spesso associato alla parola scandalo. Cerco di ricordare se nel ’97 (io avevo 15 anni, lui 27) posso avere avuto sottomano qualche foto del suo matrimonio… ma dubito, dato che, onestamente, Brooke Shields non ho la vaga idea di chi sia nemmeno ora, a trent’anni. Eppure quando ho visto questo libro, “Open”, nella vetrina della Giunti io non ho potuto non fermarmi a guardarlo. Il suo viso, in copertina, con gli occhi lucidi. E la prima cosa che ho pensato è stata: chissà perché lo detestavano tanto. Volevo leggere la vita di questo ragazzo che nei miei ricordi era circondato da critiche e osanna, a seconda del momento. Ho guardato questo libro per quasi tre anni. Era sempre la stessa storia: prendevo il libro in mano, lo guardavo fisso, accarezzavo la copertina come se potessi accarezzare lui, lo giravo a pancia in giù e lo mettevo giù. Dietro quell’espressione c’era il dolore, lo percepivo bene, il dolore di un bambino, non di un adulto. Mettere giù il libro era come dire “non voglio sapere” e mi costringevo a rimetterlo sullo scaffale al contrario, mi dava noia che lui mi fissasse. Poi un giorno i suoi occhi hanno luccicato un po’ di più ed io ho detto “ok, Andre, conosciamoci”. Il risultato? Io amo quest’uomo. Onestamente non so, se avessi avuto più conoscenza del mondo del tennis da ragazzina, cosa mi avrebbe ispirato la sua immagine allora. Forse lo avrei detestato, forse invece mi sarebbe risultato simpatico; sicuramente esteticamente non mi avrebbe per nulla affascinato, ma io ho un debole per gli anticonvenzionali, quindi in qualche modo credo mi sarebbe piaciuto. Mi sarebbe piaciuta la sua immagine ribelle, che era l’unica cosa di lui che potesse arrivare, perché il resto era dato solo a pochi eletti. Come biasimarlo. Dopo avere letto questo libro e avere conosciuto Andre Agassi uomo… capirete.
Non si può recensire un’autobiografia, non ha senso ed è irrispettoso. Perciò vi voglio giusto dare qualche spunto per invogliarvi a leggere quello che io considero uno dei libri più belli che io abbia mai letto nella vita. Dovete leggerlo perché Andre non è un bambino come tutti: ha un padre che gli mette una racchetta nella culla (letteralmente), che lo obbliga a giocare fino a stare male (letteralmente) e arriva a spedirlo da solo, ancora bambino, dall’altra parte degli Stati Uniti (da Las Vegas a Miami) per farlo allenare alla Bollettieri Academy. Dopo avere fallito con gli altri tre figli Mike Agassi esige che il piccolo Andre eccella. Lui ha già grandi cose in mente. Poco importa quello che pensa Andre, che nel frattempo fa di tutto per farsi espellere e rimandare a casa. Si tinge i capelli di rosa, si fa la cresta da moicano, si veste in modi assurdi, beve, fuma, si riempie di orecchini strani e vistosi… tutto per infrangere la rigorosissima etichetta del tennista. Ma niente da fare: è talmente bravo che Nick Bollettieri non lo molla nemmeno dopo tutto questo gran casino. Agassi è un fuoriclasse e lui non se lo vuole perdere. L’adolescenza passerà. Peccato che la condizione di Andre non è passeggera, lui il tennis lo odia, lo detesta eppure non può dire a suo padre “non voglio farlo”, soprattutto dopo che Mike Agassi ha investito i risparmi di una vita sul figlio. Accanto ad Andre, fortunatamente c’è il fratello, Philly (esperimento fallito del padre) e Perry, l’amico. Col tempo si aggiungeranno Gil, il preparatore atletico (guru e amico), Brad, il coach che non ti aspetti, Brooke e poi lei, anni dopo, Steffi. Poche sono le persone che girano attorno a questo grande uomo, pochissime. Solo loro conoscono la vera essenza di Agassi quando comincia a vincere e i giornalisti lo massacrano, quando perde e lo massacrano, quando dice una banalissima frase per uno spot e la stampa lo mette in croce. Nessuno ci va leggero con Andre Agassi e lui, troppo sensibile e arroccato dentro se stesso, non li invoglia sicuramente. Mentre i ragazzini di un’intera generazione si vestono e si acconciano come lui, lui sta ancora cercando se stesso, tra un pantaloncino fucsia e un parrucchino in testa. Gli altri imitano ciò che nemmeno lui sa di essere e questa cosa lo stranisce e lo diverte. Ma allo stesso tempo, lo fa sentire responsabile. Cosa si aspetta la gente da lui? Lo stesso che si aspetta suo padre? Perché non capiscono che lui vorrebbe essere altro, fare altro, che odia il tennis e questa vita sregolata, sbattuto da un angolo all’altro del mondo, costantemente ossessionato dalla vittoria, tanto da essere in vantaggio, farsi venire l’ansia da vittoria e perdere, spesso e volentieri. Contro Becker, contro Sampras e contro Courier… questo benedetto Courier che proprio ce l’ha con lui personalmente. E gli anni passano: Andre vince, stravince, perde, straperde, sprofonda; sprofonda lui, la sua voglia di vivere, il suo matrimonio con Brooke, sprofonda a tal punto che riesce ad intaccare perfino la forza di volontà di Brad. Nessuno riesce a sconfiggere i demoni di Andre. Ma poi, come tutti, quando si tocca il fondo, ci si rialza, in qualche modo, e ci si rialza meglio se c’è un motivo per cui farlo. Fare del bene al prossimo: ecco la chiave. Fare qualcosa per gli altri. Sentire la gratitudine vera di coloro ai quali abbiamo prestato aiuto. Agassi cambia pelle per l’ultima volta e finalmente rinasce come atleta ma soprattutto nasce per la prima volta come uomo felice, che sa bene in che direzione andare, costi quel che costi. E ci andrà, fino alla fine. Ventisette anni di onorata carriera (e lui ne ha 44) e un palmares che fa spavento. Ci sta ancora andando, in quella direzione, mano nella mano con Steffi, perché l’amore, quando è vero trova sempre il modo di farsi strada.
Leggete questo libro. Leggete di quest’uomo. Leggetelo se non lo conoscete, ma soprattutto se lo avete conosciuto come grande tennista. Andate a guardare la sua vita da dentro, mettetevi nei suoi panni, provate la sua sofferenza e cambiate pelle. Io ho cambiato la mia dopo questo libro.
Thank you Mr Agassi for your lesson.

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