giovedì 30 aprile 2015

Moscerine

Inizio: 7 gennaio 2015
Fine: 14 gennaio 2015
Recensire Anna Marchesini è mettere bocca su un mostro sacro. Quel che vorrei fosse chiaro senza troppi giri di parole è che questo libro… non è semplicissimo. Non che non sia alla portata di tutti, ma va capito. Va capita la donna dietro il libro e, a tratti, anche questo sembra non bastare. Ho letto questo libro due mesi fa ed ho atteso molto per scriverne. Va digerito. Diversamente non se ne può parlare. Nonostante si proponga come un libro a forte carica umoristica, questi racconti nascondono una vena emotiva, quasi triste, un’introspezione paurosa, una connotazione umana a dir poco eccezionale ed una consapevolezza della vita che fa quasi timore. Anna ha messo in parole la vita stessa, con la sua carica di ironia, il suo fare secco e stizzito, il ciondolio della testa (che non si vede ma si immagina) e fiumi di parole. Già, le parole. Tante, tantissime, una dietro l’altra senza una virgola. Letteralmente. Tanto che ci ho messo non poco ad abituarmi all’andamento della lettura; la punteggiatura è la pausa degli occhi, della mente, del senso … Anna non ne mette, mette elenchi di parole a profusione, come acqua che abbia sfondato una diga. Giù, dritta a valle. Non sono necessariamente climax, sono spesso accostamenti, sinonimi, che compongono una varietà lessicale amplissima. Solo Piperno mi aveva messo così in difficoltà. Fanno ridere questi racconti? Onestamente, non tutti. Alcuni sono molto forti emotivamente, trattano temi troppo importanti, indagano troppo le fragilità per poterli definire divertenti. Sono commoventi, toccanti. E gli altri? Bè.. Dipende da cosa intendete. Alcuni si, fanno ridere, ma vi dovete immaginare lei, seduta su una sedia, a teatro, che ve li racconta. Con i suoi capelli arruffati, i suoi occhiali volutamente bassissimi sul naso e quella vocina che sale sale sale. Non leggete questi racconti se non conoscete Anna Marchesini. Piuttosto guardatevi un suo video prima. Mi rifiuto di recensire questi racconti… perché non è la storia in sé che colpisce, mail modo in cui lei la racconta. Affinché, però, possiate avere un’idea sul filo conduttore che li lega, vi dirò qualche parola di ognuno e cercherò di farlo… nello stile di Anna.

La signorina Iovis – come si fa, come si fa dico io, a lasciar perdere l’amore? Anche se la campana suona in là con gli anni, come non rispondere? Ed eccola lì, la signorina Iovis, seduta al suo sportello alla posta, fissata da quel bell’uomo lì. Adolfo Perres, maestro di scuola, aveva sgomitato (ma educatamente) per farsi strada nella vita della signorina Iovis. E venne il dì della festa…

Lisetta – non è che alla gente piaccia star sola.. ma non è nemmeno che ci si possa accompagnare a chiunque. L’amore non si comanda e spesso basta una volta, quella buona, a distruggerci. E allora ecco, stare soli diventa l’abitudine, diventiamo come vecchie querce, sedute, con l’edera avviluppata, un po’ come impedimento un po’ come scusa. Quand’ecco che qualcuno ci smuove, ci muove e rimuove dal nostro fossilizzato trono di legno. Ci sono persone che guardano alla vita con diversi atteggiamenti e ci sono persone che hanno lo stesso atteggiamento e guardano più vite possibili, quasi mettendole a confronto… (questo è il racconto più toccante e commovente)

L’odore del caffè – eccoli lì, gli Svizzeri di via del Corso. Proprio loro, quelli che ti macinavano il caffè davanti, in negozio. Ma il mercoledì era il giorno sacro della tostatura del caffè: misterioso procedimento nascosto nel retrobottega, al quale nessuno era ammesso. E tutto l’aroma si spandeva come un nuvolone carico di pioggia: greve, pesante, denso, invadente.. inebriante “ed era subito l’Avana era viva Zapata era la Rivoluzione era la Repubblica di zucchero e cannella”(pag. 72).

La torta nuziale – troneggiava bianca, candida, eterea, eburnea. Torreggiava nell’angolo della cucina, lei, la grande casta protagonista, lei, l’ultima ad entrare per la gioia di tutti. Quella che nessuno avrebbe mai osato rifiutare, anche se non ci sta più niente, anche se “no grazie, basta così”, anche se si son fatti incartare gli avanzi, anche se. “Quei cinque piani di panna soffice, un grattacielo tirato su con il latte di capra, di capra si erano raccomandati, senza neanche sapere se si potesse fare o se invece si trattasse di una di quelle inqualificabili castronerie eccentriche ed irresponsabili tipiche dei committenti urbani, dunque ignoranti circa i procedimenti della produzione artigianale”. Bianca che più bianca non si può.. o forse non proprio, non sarà mica una mosca quella?!

Poi si vedrà – mi sposo o non mi sposo? Che faccio Flora? E lei, ingrata, questa volta, il becco non ce lo vuole mettere; ma come si fa ad abbandonare così una sorella che tutto nella vita ha fatto, tranne vivere. Flora ha sempre preso le decisioni per Nelda ed ora, niente, eccola lì la poverina, in abito da sposa, prima di andare all’altare supplichevole, desiderosa come sempre dell’aiuto che Flora ha sempre elargito generosamente. Insomma, suvvia, una parolina, chessssaràmmai! Un si o un no, non così difficile, mal che ti vada Flora potresti anche scegliere a caso, basta che le dici che cosa deve fare…

Le evidenze – Maria Luce Colli, pregiatissima e stimatissima professoressa di matematica. Bella, bellissima. Donna contenuta con un passato non facile, la professoressa Maria Luce se n’era andata via dalla sua Basilicata ed era giunta in terra veneziana con il piccolo Emanuele. La disonorata in casa sua, timoratissima e rispettabilissima in terra lagunare, lavora sodo; l’unico su interesse è il figlio, giornate scandite, mai uno sgarro, sola soletta se non per l’amato pargolo. S’accontentava d’esser trasparente, anche se insomma, non le riusciva poi così bene. Ma quando Emanuele s’ammala agli occhi, Maria Luce esce drasticamente dalla sua felice monotonia…

Il salotto – Madame Isidori è rientrata dalla sua residenza parigina da un paio di giorni e già teme per la sua pelle. “Sono molto cattive quest’anno le zanzare?”. La povera vedova veniva costantemente fatta bersaglio da quelle odiose alate bestiacce. La cara donna aveva il sangue dolce e le orride belve lo sapevano, di grazia che tortura! Ma Madame Isidori impavida non rinuncia al suo salotto nemmeno in piena estate, troppo importanti i suoi illustri ospiti, o forse no, ma va bè, l’importante è la mondanità. Che se ne parli che se ne parli! Della sua fastosità, degli stuzzichini e dei discorsi, che donna intelligente! Che donna generosa! Che donna amabile!! Peccato sia costantemente bersagliata da quelle inutili, maledette zanzare…

In punto di morte – finale già scritto, nessuno scampo. Che senso ha chiedere come andiamo oggi? Se siamo qui andiamo, quindi bene, ma tanto non si ha scampo quindi.. un’ora in meno. Ma il nipote dell’onorevole Casimiro Mei proprio non la smetteva di ripetere quella cavolo di frase ogni volta, benedetto ragazzo. Un po’ s’assopiva un po’ aveva imparato a dilatare il tempo: perché un’ora è solo un’ora se la vedi così, ma se cambi punto di vista sono 60 minuti, che per 60 secondi a minuto fanno 3600 secondi, che insomma, son di più. Questione di punti di vista. Come quella carezza appena percepibile, appena accennata, quel saluto da parte del portiere: oh che gioia, Casimiro si rallegra, pieno di riconoscenza e stupore.

Cirino e Marilda non si può fare – due stelle superior Pensione Smeraldo. Eccolo lì, Cirino Pascarella, disoccupato ormai da tempo, ha dovuto vender la sua casa ed ora vive lì all’ultimo piano del palazzo. Che vita triste, povero professore. La signora Olimpia, tenutaria, non lo lascia in pace, tanta è la voglia sua di maritare la figlia Marilda: “tanto caruccia a modino faticatrice tanto brava servizievole obbediente pulita ordinata donna di casa precisina taciturna!”. Da chi abbia preso non si sa. Ma Cirino Pescarella è perso nei suoi pensieri, tristi, lontani, nemmeno la sente Olimpia, nemmeno la vede Marilda…

 

Non voglio aggiungere altro. Credo che valga la pena di leggerli, anche se non sarà proprio una lettura facile; vale la pena sentire cos’ha da dire questa donna sulla vita e i suoi stereotipi, sulle paure che ognuno di noi ha o pensa di avere e su quelle che crediamo di non avere. Una grande lezione, grazie Anna.

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