domenica 26 aprile 2015

Topi

Inizio:19 aprile 2015
Fine: 21 aprile 2015


La prima di copertina riporta il parere di Repubblica: “Topi è un thriller psicologico di magistrale fattura”. Ma anche no. Prego definire thriller psicologico, magistrale fattura e poi, forse, ne possiamo parlare. Ma per ora, anche no. Mi dispiace, ma per me questo libro non sa di niente e, soprattutto, non ha né capo né coda. A cominciare dal titolo, estrapolato dalla psicologia spicciola (di chi poi) e adoperato fastidiosamente ed alternativamente per indicare persone timide, ritrose, incapaci di reagire, vittime e chi più ne ha più ne metta. Dopo essere cresciuta con uno come King e avere letto i libri di un tale di nome Jo Nesbo, queste 316 pagine di Gordon Reece mi hanno lasciato…. Basita. Normalmente cerco di capire quale possa essere l’idea di base, cosa voglia comunicarmi l’autore, frugando aldilà dell’apparenza, ma in questo caso, questo tipo di ricerca, mi ha fatto smarrire peggio di prima. Rinuncio.

Inghilterra. Periferia di Londra. Giorni nostri. Shelley Rivers ha avuto un’infanzia normale. Figlia di due avvocati, benestante, ottima studentessa, ha avuto una vita serena e tranquilla fino all’età di dodici anni, fino a quando la differenza tra le sue amiche d’infanzia e lei (apparentemente sempre uguale a se stessa) non ha cominciato a renderla bersaglio di odiosi scherni. Poco interessata ai ragazzi, un po’ cicciottella e dedita allo studio, diventa lo zimbello delle sue amiche Teresa, Emma e Jane. Proprio loro, con le quali ha condiviso gioie e scoperte di bambina e si è ripromessa mille volte di non lasciarsi mai, diventano il suo tormento, le sue instancabili aguzzine. In un crescendo che comincia con delle battute, che diventano offese verbali, attraverso i primi spintoni ed i primi calci, passando attraverso veri e propri pestaggi. Nel frattempo, i suoi genitori si sono separati, hanno dato vita ad una furente lotta per l‘affidamento conclusasi solo con la decisione autonoma di Shelley di rimanere con la madre. Da quel momento, il padre, semplicemente ha smesso di considerarla. È forte il disagio di Shelley, che si considera una persona debole (un topo), incapace di reagire alle cattiverie ed ai soprusi, in preda alla vergogna, quasi fosse colpa sua. Questo suo senso di inadeguatezza le rende impossibile confidarsi con la madre (che lei considera un altro topo) e negli anni impara sempre più scaltramente a camuffare lividi e tagli, a smacchiare abiti ripulire le proprie cose costantemente imbrattate. Tuttavia trova il proprio sfogo personale nell’annotare minuziosamente ogni giorno le angherie di cui è vittima. Un diario crudo, schietto, tutto fatti e niente commenti. Shelley avrebbe voglia di farla finita (ma d’altronde è un topo e non ha nemmeno il coraggio d suicidarsi) eppure non lo fa. Rinunciando all’idea d’impiccarsi nel garage di casa va incontro, inconsapevole, al peggior giorno della sua vita: le sue aguzzine, le danno fuoco.
Tristemente devastata, la vita di Shelley esce allo scoperto con la stessa forza con la quale era stata repressa, con una sorta di spinta di Archimede emotiva. Ma, al contrario di ciò che potreste pensare, la reazione non è di rabbia o di forza, ma solo di paura (lei è un topo cosa potete aspettarvi di diverso?). Il ritrovamento del diario apre gli occhi (forzatamente) alla povera Elizabeth, ignara fino a quel momento degli abusi subiti dalla figlia negli anni precedenti. Vista l’impossibilità di perseguire le ragazze che con forza negano ogni coinvolgimento, Shelley decide e ottiene di studiare privatamente a casa, dopo che assieme alla madre si è trasferita in un’isolatissima casa di campagna. Solo il padre, i professori privati e la polizia conoscono l’indirizzo. I topi hanno trovato un luogo sicuro nel quale rintanarsi e prosperare, nel quale riprendere in mano la loro vita. Ora potranno vivere in pace.
Una notte però, la notte del sedicesimo compleanno di Shelley, la loro tranquillità viene scossa brutalmente: un ladro, fatto e completamente ubriaco, si è introdotto nella loro casa per rubare. Le sveglia, le minaccia, le lega. Poveri piccoli topi in trappola.
Il topo in trappola, però, è il ladro.

Svelarvi il seguito sarebbe come dire: inutile che lo leggiate, è tutto qui. Chiariamo una cosa: la storia non è male, in sé. Il problema è ‘impronta che Reece da alla storia… un thriller? Ma scherziamo??? Psicologico poi? Se qualcuno di voi ha mai letto Misery non deve morire ha ben presente cosa si provi quando uno scrittore crea una tensione psicologica nella quale il lettore si trova invischiato. Siamo lontani anni luce. Senza nemmeno considerare il fatto che, se la prima parte può essere assolutamente verosimile (quella sul bullismo) la seconda comincia a fare acqua da tutte le parti: un ladro, armato di un coltello, fatto, ubriaco, che non sta letteralmente in piedi davanti a due donne (DUE!) perfettamente lucide e reattive, riesce a gestirle senza il minimo sforzo. Stiamo già esagerando, secondo me. Ciò che avviene nella terza parte poi, da quando il topolino si è trovato in trappola, sfocia addirittura nel ridicolo. Totalmente inverosimile.
Non è una cattiva lettura, ma se ne poteva fare decisamente qualcosa di meglio a mio parere. Sarebbe bastato evitare di strafare. Reece ha un’ottima capacità descrittiva, una buona scorrevolezza e fluidità di scrittura; peccato, peccato davvero.

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